Sul Giovedì Santo
1 TESTO “lezione liturgica”
Il Giovedì Santo è un giorno importante nel calendario della Chiesa Ortodossa. E’ un giorno, paradossalmente, festivo, perché viene commemorato il sacramento più alto di tutti, la Divina Eucarestia, anche se è nel centro della Settimana di Passione. Nell’aria c’è una percezione particolare, è come se il tempo liturgico si sia fermato, momentaneamente: una sorta di attesa pressante ma senza angoscia, luminosa, permea l’ambiente. Il servizio liturgico centrale di questo giorno è composto dalla Liturgia di san Basilio preceduta dai Vespri, che secondo gli usi si celebra la mattina o la sera. Alla liturgia viene letto il lunghissimo Vangelo della Passione secondo Giovanni (Giovanni 13:31-18:1). Al posto delle antifone consuete, viene più volte ripetuto il tropario:
Della tua Mistica Cena, o Figlio di Dio, rendimi oggi partecipe: perché non narrerò del tuo Mistero ai tuoi nemici, né ti darò un bacio come Giuda; ma come il ladrone ti dirò: ricordati di me, o Signore, quando sarai nel Tuo Regno.
Al mattino, in molte chiese ortodosse viene celebrata la cerimonia della Lavanda dei Piedi, la quale emula il gesto del Signore Gesù Cristo che Egli compì suoi discepoli e apostoli. Spesso alla sera, in luogo dei Vespri, si preferisce anticipare il Mattutino del Venerdì Santo il quale è composto dalla lettura dei Dodici Vangeli della Passione:
Giovanni 13:31-18:1
Giovanni 18:1-29
Matteo 26:57-75
Giovanni 18:28–19:16
Matteo 27:3-32
Marco 15:16-32
Matteo 27:33-54
Luca 23:32-49
Giovanni 19:19-37
Marco 15:43-47
Giovanni 19:38-42
Matteo 27:62-66
Con la lettura di questo ciclo di Passione, entriamo formalmente nel Grande e Santo Venerdì di Passione, e difatti spesso la processione con l’epitaffio che raffigura il Cristo defunto è condotta in processione al termine dei Dodici Vangeli.
Nelle grandi cattedrali, invece, il vescovo compie un rito antico e nobile, testimoniato fin dai primi sacramentari liturgici utilizzati ad Antiochia nel V secolo: la consacrazione del Crisma (myron). Durante la Divina Liturgia il vescovo infatti riceve le ampolle e le anfore con l’olio crismale, prodotto con più di trenta erbe ed essenze, e le consacra. Il Crisma viene poi portato in tutte le parrocchie della Diocesi e i sacerdoti lo utilizzeranno solamente per battezzare i bambini o consacrare le chiese, qualora il vescovo stesso non possa.
L’intero Giovedì Santo si prefigura quindi come una glorificazione dei Misteri dell’Ordine Sacro. Non per nulla fin dalla più remota antichità il Giovedì Santo è considerato la “festa del sacerdozio”, un momento nella vita ecclesiale ove glorifichiamo Dio per il grande dono del sacerdozio ministeriale. Perché in questa solenne festa, Cristo Gesù nostro Signore creò l’Eucarestia e la celebrazione del suo Mistero.
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2 TESTO “quasi omelia”
Fratelli e sorelle nel Signore, oggi è una delle feste più grandiose della Chiesa, è il Giovedì Santo, il Grande Giovedì, quando nella sera della sua vita terrena, nostro Signore Gesù Cristo ha compiuto l’Antico Testamento coi precetti dell’Antica Legge consumando la Pasqua ebraica nella vigilia, e ha iniziato la Nuova ed Eterna Alleanza attraverso la sua Ultima Cena. Oggi è un giorno glorioso per la Chiesa di Cristo, perché essa commemora oggi la nascita del più grande Mistero che alberga nella liturgia: la trasformazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di nostro Signore e Salvatore. Quando il Cristo, prima di venire tradito, ha voluto consumare coi suoi apostoli la cena che precedeva la festa della Parasceve, nella quale si immolavano quasi duecentocinquantamila agnelli a Gerusalemme prima del Sabato silenzioso, quando era proibito fare qualsiasi cosa, il Cristo Dio non ha scelto casualmente quel giorno per compiere il Sacramento dell’Eucarestia. Se analizziamo ciò che è possibile conoscere di questo grande Mistero, osserviamo come esso sia un sacramento comunitario: il Cristo non celebrò da solo, ma invitò i suoi Apostoli a prenderne parte. La Salvezza dunque, data per mezzo del Corpo di Cristo a quanti ne partecipano, necessita di un rito comunitario: è nella Chiesa, con la Chiesa di cui Gesù Cristo è il capo, che troviamo la redenzione. Ma, oltre agli Apostoli, nell’albergo dove consumò l’Ultima Cena, vi erano una moltitudine di persone che non furono invitate: sono coloro cui l’Eucarestia è preclusa, sono i non cristiani, gli increduli, gli eretici. Nella sera, dopo che Giuda ebbe raggiunto i nemici di Dio per ucciderlo, il Signore nostro si recò nel Getsemani, a pregare, dove ebbe un momento di debolezza: nella notte della vita umana, tutti gli esseri umani hanno la tentazione di abbandonare Dio e di perdersi nell’abisso della sofferenza. La notte dell’anima, che il Cristo visse in prima persona nella sua natura umana, secondo il Mistero dell’Incarnazione, è forse una delle peggiori tentazioni che l’umanità possa mai provare: lo scoramento interiore più buio e profondo nel quale l’Uomo si inabissa per perdersi nell’autocommiserazione e nel dolore privo di senso. Ma il Signore rispose ai suoi dubbi con una frase: << passi da me questo calice, se Tu lo vuoi >>. Parlava col Padre suo nei Cieli: ovviamente, dato che Cristo in quanto Dio sapeva già ciò che avrebbe patito nel Venerdì a seguire, a causa della propria onniscienza, non parlava da solo; ma piuttosto lasciava un esempio ai suoi discepoli, ai cristiani di ogni tempo e luogo. Così si affronta la sofferenza, con l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio, nella Divina Provvidenza: del resto, sempre Cristo disse << se agli uccelli non manca nutrimento, voi, uomini, che valete immensamente di più degli uccelli, di cosa vi preoccupate? >> intendeva il nutrimento del Cielo, la divina Grazia, e anche il nutrimento del corpo, affinché magnifichiamo il Signore nei benefici materiali che Ci concede. Dopo il patimento del Getsemani, Giuda e gli uomini del Sinedrio trovano il Cristo e lo arrestano: era la notte fonda del Giovedì che precedeva la Parasceve. All’alba del giorno seguente, prima che il gallo canti, Pietro lo rinnegherà tre volte e i suoi apostoli si disperderanno, dando prova di immaturità spirituale in quel tempo.
Altrettanto immaturi sono coloro che si ritengono indegni dell’Eucarestia, e a cagione di ciò non l’assumono. Facciamo bene a ritenerci peccatori, perché tutti noi lo siamo, ma il Signore stesso disse: << per i malati sono venuto, giacché non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati. >> L’Eucarestia è la medicina della nostra anima, del nostro corpo, della nostra mente: è farmaco potente della vita spirituale, il più potente fra gli steroidi, se vogliamo: non possiamo crescere nella vita spirituale senza la santa Comunione. Per questo, non è un vero cristiano chi non si comunica almeno una volta al mese, dicono i Canoni. ALMENO una volta al mese: e per tutte le feste, nelle quali compartecipiamo della gloria dei santi e della grazia dello Spirito Santo, a maggior ragione dobbiamo accostarci al Calice, fonte di guarigione, di speranza e di unità nel Regno di Dio, che appartiene a tutti quanti fra i suoi figli e figlie seguono il Cristo, Dio vero e uomo vero, Agnello immacolato condotto al macello per la nostra Salvezza.
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