San’ Nettario di Eghina – operatore di miracoli

Costantinopoli

Anastasios Kephalas nacque nell’ottobre del 1846 in Selevria di Tracia. A causa della povertà dei suoi genitori, all’età di quattordici anni andò a Costantinopoli per cercare un lavoro e poterli sostenere finanziariamente; tuttavia non aveva il biglietto per la nave e così si avvicinò ad una di esse, che era pronta a partire, e chiese al capitano di prenderlo a bordo. Questi, però, vedendolo così giovane, gli disse per scherzo: «Fatti un giro, piccolo, e quando tornerai ti prenderò». Il ragazzo comprese quello che il capitano voleva dirgli in realtà e cominciò ad allontanarsi tristemente. Nel frattempo quegli azionò i motori per salpare, ma, sebbene funzionassero perfettamente, la nave non si muoveva; incrementò la potenza, ma invano. Senza sapere cosa fare, il capitano alzò gli occhi e incontrò lo sguardo del ragazzo che era tristemente in piedi sulla banchina. Era costretto contro la sua volontà e, cedendo, disse al ragazzo di salire. Anastasios saltò su e il capitano si assorse nel problema di come far muovere la nave, anche se non ne ebbe bisogno, perché questa partì immediatamente appena il “passeggero scelto” fu a bordo.

A Costantinopoli Anastasios trovò lavoro presso un commerciante in tabacco che non lo pagava come avrebbe dovuto, perciò andava in giro scalzo e con abiti stracciati; ma aveva moltissima fede in Dio e la preghiera era la sua unica consolazione. Quando vide che il suo datore di lavoro scriveva e riceveva molte lettere, Anastasios, con la sua mente da fanciullo e il suo cuore privo di malizia, volle scriverne una anche lui, perché aveva molte cose da dire. Ma a chi avrebbe potuto spedirla? Non aveva conoscenti e non poteva scriverla alla madre perché la posta non veniva portata al suo piccolo villaggio. E tuttavia sentiva il desiderio di scrivere: voleva lamentarsi del lavoro e della scarsa paga, voleva cibo e vestiti, ma non aveva soldi. Non aveva abbandonato la speranza in Dio e così pensò di scrivere una lettera al Cristo e di comunicargli le sue necessità. Prese la penna e scrisse: «Mio piccolo Cristo, non ho un grembiule, né scarpe. Mandamele! Sai quanto ti amo. Anastasios». Chiuse la lettera con speranza e scrisse sulla busta: «Al Signore Gesù Cristo nei cieli». Sulla strada per imbucare la lettera incontrò il proprietario di un negozio che era dall’altra parte della strada rispetto al suo luogo di lavoro. Quest’uomo lo conosceva bene e sapendo dell’innocenza e della diligenza del ragazzo, aveva cominciato a sentire una grande compassione per lui. Era anch’egli di strada per l’ufficio postale e disse: «Anastasios, dove vai?». Anastasios mormorò qualcosa tenendo la lettera in mano. «Dalla a me, così la spedisco e tu non devi farti tutta la strada». Intimorito e senza pensarci su Anastasios gliela diede. Il commerciante la prese e la mise con quelle che doveva spedire, dando ad Anastasios dei colpetti sul capo e dicendogli di tornare indietro, che lui avrebbe avuto cura della lettera.

Anastasios tornò allegramente al lavoro e il commerciante continuò per la sua strada, pieno di gioia per quel ragazzo buono ed eccezionale. Tuttavia la curiosità lo sopraffece quando giunse alla posta e lesse l’indirizzo della lettera, a tal punto che la aprì e ne lesse il contenuto. Fu così travolto dalle emozioni che prese dei soldi, li mise in una busta e li spedì anonimamente al ragazzo. Anastasios fu pieno di gioia nel riceverli e rese grazie a Dio.

Alcuni giorni dopo il suo datore di lavoro lo vide vestito meglio del solito e pensò che doveva averlo derubato. Stava per picchiarlo e licenziarlo. Ma Anastasios gridò: «Non ho mai rubato nulla nella mia vita, ti prego, non picchiarmi! Me li ha mandati il mio piccolo Cristo». Il commerciante di fronte sentì l’alterco, accorse, prese da parte il datore di lavoro e gli spiegò la storia.

Viaggio verso la Terra Santa

Quando Anastasios era ancora giovane visitò i Luoghi Santi per venerarli. Durante un viaggio sopravvenne una grande tempesta e la nave rischiava di affondare; il capitano, non sapendo che altro fare, diede ordine che fossero preparate le scialuppe di salvataggio e «possa Dio aiutarci». Se qualcuno fosse stato in grado di salvarsi, meglio così, altrimenti la nave sarebbe affondata con tutti a bordo. Il piccolo Anastasios guardò il mare, sentì il capitano e i suoi ordini disperati e gli occhi gli si riempirono di lacrime, poiché si accorse che davvero non c’era via d’uscita. In quel momento tuttavia, quando anche l’ultima speranza di salvezza era perduta e tutti aspettavano l’ordine del comandante di abbandonare la nave, Anastasios gli si avvicinò e prendendo il timone pregò, esclamando verso il cielo: «Mio Dio non voglio morire, voglio predicare il Tuo nome. Perché permetti questo?» Ripeté queste parole diverse volte, poi lasciò andare il timone, estrasse la croce che portava, quella che gli aveva dato la nonna e che conteneva un pezzo della Croce Venerabile, la legò alla cintura, andò verso il lato della nave e la immerse nell’acqua, comandando al mare, come aveva fatto il Signore, con le parole: «Silenzio! Basta». Ripeté il gesto tre volte, quando, o la Tua volontà, Cristo Dio, dopo la terza esortazione ed immersione, il vento cessò e una gran calma seguì, nello stupore di tutti. Essi continuarono il viaggio con grande gioia, glorificando Dio, eccetto per il piccolo operatore di miracoli Anastasios, che era triste perché la Croce Venerabile, dono di sua nonna, era caduta in acqua. Quando attraccarono sentirono uno strano bussare dabbasso. Il capitano mandò dei marinai per capirne la causa, ma essi non trovarono nulla. Questi raggiunsero il ponte quando tutti stavano cominciando a sbarcare e fra essi il piccolo Anastasios. Mentre stavano scendendo, suoni come di bussare vennero ancora uditi dalla stiva e il capitano ordinò nuovamente di cercarne la causa, anche con una piccola barca per esaminare lo scafo. Mentre erano intenti a quest’operazione, un marinaio trovò la Croce Venerabile di Anastasios, nel punto da cui i suoni provenivano. Si può solo immaginare cosa accadde allora. Il marinaio riferì immediatamente il suo ritrovamento e il capitano cominciò a chiamare il piccolo, che era sceso e si trovava già ad una certa distanza. Gli gridò «Kephalas, Kephalas, torna indietro, vieni qui!», facendogli segno. Il piccolo Anastasios ritornò, ricevette il suo “tesoro” e da quel momento lo portò sempre con sé.

Pentapoli

Quando ebbe vent’anni andò nell’isola di Chios ed entrò nel grande e rinomato monastero di Nea Moni; divenne monaco il 7 novembre 1875 e con la tonsura ricevette il nome di Lazzaro. Dopo due anni venne ordinato diacono dal metropolita Gregorio di Chios per le sue grandi virtù e la sua devozione e fu in quest’occasione che gli venne dato il nome di Nettario. Davvero questo fu un nome profetico, perché annuncio del nettare divino che il santo padre sarebbe diventato, attraverso i suoi sermoni e soprattutto attraverso la santità della sua vita, nei confronti del pio popolo cristiano. Fu così che il santo padre fu ordinato diacono e più tardi prete.

Più avanti Nettario lasciò Chios a causa delle difficoltà dei tempi e del governo musulmano a andò in Egitto. Qui venne eletto metropolita dell’antica diocesi di Pentapoli (in Cirenaica, l’odierna Libia) e davvero la lampada venne posta sul moggio e brillò per tutti in ogni dove. Tuttavia, a causa delle sue sante virtù, della sua vita immacolata, dei suoi santi sermoni e di tutte le altre cose che lo separavano dal resto del clero, sorse immediatamente un certo malvolere nei suoi confronti tra i suoi colleghi metropoliti, vescovi e membri delle gerarchie ecclesiastiche della sede di Alessandria. Essi non amavano Nettario perché era diverso da loro. Per questa ragione dissero al patriarca Sofronio cose diffamanti nei suoi confronti, in particolare che egli aveva messo gli occhi sul Trono patriarcale attraverso la sua «falsa devozione». Questo perché non volevano riconoscere la sua vera virtù, né il fatto che si trattasse di una persona spiritualmente più elevata e ritenevano che il suo comportamento fosse solo illusorio, per essere considerato santo dalla gente; in virtù di questa popolarità egli avrebbe detronizzato il Patriarca e tutti i Cristiani ortodossi d’Egitto sarebbero insorti per farlo Patriarca. E poiché davvero egli era molto popolare, il Patriarca Sofronio fu facilmente convinto di essere in pericolo. Poco sapevano del vero valore della persona, né comprendevano che egli non era ambizioso come loro per posizioni, gloria e potere.

In questo modo e per questi motivi sospesero il santo padre come Metropolita del trono di Pentapoli. Il Patriarca stesso, che era stato un grande “amico” del padre, scrisse l’ambigua lettera di sospensione, che più tardi divenne causa di così grande scandalo, dicendo che «per ragioni note al Patriarcato» egli veniva sospeso dalla Metropolia di Pentapoli, ma che gli veniva permesso di rimanere al Patriarcato e di mangiare alla tavola comune, in modo da avere vitto e alloggio. Anche se gli fosse stato chiesto di benedire un matrimonio o un battesimo avrebbe potuto farlo se il permesso gli fosse stato garantito dal vescovo diocesano o dal Patriarcato. In questo modo non venne ridotto allo stato laicale, né sospeso dalle funzioni ecclesiastiche, ma solo estraniato dal suo trono in modo da rimanere senza posizione.

Quando il santo apparve ad Atene con il foglio di sospensione, dopo che queste false voci già erano state fatte circolare, anche la gente innocente credette alle scandalose illazioni, perché videro scritto sul foglio «per ragioni note al Patriarcato», perciò doveva essere vero. In conseguenza sia lo Stato che le autorità ecclesiastiche gli rifiutarono una posizione nella Chiesa di Grecia e venne privato dei mezzi di sostentamento. Si trovò in uno stato straniero, straniero fra la sua stessa gente, senza cibo, alloggio e senza nemmeno il minimo mezzo di sussistenza. Ogni giorno andava all’ufficio del Ministero delle Religioni sperando che potessero fare qualcosa per lui, finché alla fine si stancarono e cominciarono a maltrattarlo e a mancargli di rispetto come Metropolita.

Atene

Un giorno, mentre scendeva le scale degli uffici del Ministero dopo che gli era stato nuovamente detto che si sarebbe esaminato il suo caso e che gli avrebbero fatto sapere, incontrò un vecchio amico dell’Egitto che conosceva la sua posizione precedente e la sua virtù. Questi si sorprese al vederlo in un tale stato di prostrazione e, quando ne ebbe conosciuto le cause, intercedette presso il Ministero della Religione e dell’Educazione, cosicché il santo venne nominato predicatore nella diocesi di Vitineia e Euboiea. Immaginate, colui che un tempo era Metropolita della Pentapoli ridotto a predicatore, cosa che anche un semplice monaco avrebbe potuto fare; addirittura il permesso di predicare poteva essere dato dal Sinodo anche ad un semplice laico che ne avesse avuto la capacità. Tuttavia egli non pensò per nulla che si trattasse di una nomina umiliante, né ritenne che si trattasse di piccola cosa, anzi, era una della più grandi poter predicare alla gente la Parola di Dio. Non pensò mai che si trattasse di una briciola dalla tavola, gettatagli come ad un cane, ma anzi se ne fece immediatamente carico e prese a cuore la cosa, impegnandosi seriamente nel suo nuovo incarico. In questo modo arrivò nell’isola di Euboiea e cominciò a predicare di chiesa in chiesa.

Ma come se non fossero bastate le diffamazioni che aveva dovuto subire ad Atene, altre se ne aggiunsero in Euboiea. Voci messe in giro dagli empi vescovi di Alessandria contro il giusto e immacolato Nettario divamparono come un incendio in tutta l’isola. Ogni volta che predicava, la gente sorrideva, rideva e sussurrava a tal punto che nelle chiese di Euboiea si creò una grande confusione. In un primo momento il santo non comprese, perché era davvero una persona umile e semplice, ma più tardi capì che parlavano e ridevano di lui. Si rese conto che invece di fortificare e edificare le anime, insegnando la Parola di Dio, faceva più danno che bene, dal momento che la gente credeva alle voci e non ascoltava le sue prediche. Per questo decise di dimettersi dall’incarico, anche se non aveva altri mezzi per sostentarsi oltre a quella posizione, e per non creare scandalo nella chiesa tornò ad Atene.

Nel frattempo alcune persone cominciavano a rendersi conto che egli era davvero un uomo buono e che era stato diffamato senza motivo. Essi presero ad amarlo perché non riscontravano nel suo modo di vivere e nelle sue conversazioni alcuna delle cose che erano state dette di lui in Egitto. Queste poche persone erano influenti e lo aiutarono ad essere nominato Preside del Seminario Rizarios ad Atene. Avrebbe potuto celebrare nella chiesa del Seminario, dedicata a San Giorgio, Grande Martire e Portatore di Trofeo, come vescovo-prete. Avrebbe anche insegnato agli studenti, dal momento che era davvero un uomo saggio e colto, come aveva dimostrato nei numerosi lavori scritti sullo stato delle anime e la resurrezione dei corpi, sui motivi per i quali esistono riti di commemorazione e su molti altri argomenti.

Egina

A causa dell’eccessivo caos di Atene, delle molte parole, del molto rumore spirituale e psichico, Nettario, persona d’indole tranquilla, desiderò ritirarsi e recarsi in un luogo dove potesse essere con Dio e pregare in accordo con il suo cuore. Cominciò dunque a cercare un posto adatto fuori Atene e giunse all’isola di Egina: aveva infatti sentito dire che lì c’erano molti piccoli monasteri e chiese che non erano più utilizzati. Ad Egina c’era un ragazzo, solito a cadere in trance e ad avere intuizioni profetiche; spesso dormiva davanti alle Porte Regali e quando si svegliava riferiva i suoi sogni ed essi si avveravano. La gente pensava che si trattasse di un dono di Dio, ma in realtà era posseduto da uno spirito di divinazione, come registrato nel Nuovo Testamento, quando si parla di coloro che profetizzavano grazie ai demoni. La prima volta che Nettario andò sull’isola, il ragazzo gridò: «Un Santo è in arrivo. Andate alla spiaggia ad incontrare l’uomo di Dio». Disse addirittura il suo nome, da dove veniva e perché. Perciò tutti andarono sulla spiaggia per incontrarlo ed egli fu stupito che costoro si fossero radunati per lui e chiese come mai. Gli dissero del ragazzo ed egli comprese immediatamente che era un demonio a parlare e non Dio. Andò da lui, lo benedisse e comandò al demonio di uscire: quegli se ne andò e il ragazzo non parlò mai più di visioni, né fece più profezie.

Nettario si mise dunque in cerca di un luogo adatto e ne trovò uno a circa due ore di cammino dalla città principale, a picco sul mare, una piccola chiesa che un tempo era un monastero dedicato alla Santissima Trinità. Con le sue stesse mani cominciò a ricostruire alcune delle celle intorno. Nel frattempo conobbe una monaca cieca, Xenia, per la quale maturò un profondo rispetto, al punto che ne fece la madre superiore della prima piccola comunità, che si creò con l’arrivo di alcune altre anime.

Dal momento che padre Nettario era davvero un uomo dotato, specialmente per quanto riguardava la confessione, e aveva moltissimo discernimento nelle materie spirituali, molti accorrevano da lui, anche dalla capitale. In questo modo Nettario divenne veramente una luce per l’isola di Egina e il principale confessore e padre spirituale di tutta la Grecia. Con l’aiuto dei suoi figli spirituali e le donazioni della gente che cominciava a riconoscere la sua vita secondo Dio, essi furono in grado di accrescere il convento a più di trenta monache, oltre a tutti quelli che vi si raccoglievano per udire Nettario predicare la Parola.

Una volta il Santo disse alle monache: «Sto costruendo un faro per voi, e Dio ci porrà una luce che risplenderà in lungo e in largo per il mondo intero. Molti la vedranno e verranno qui ad Egina». Ma le monache non poterono comprendere il senso di questa frase, che capirono solo dopo la ricognizione delle sue Sante Reliquie ed i miracoli che cominciarono ad operare. Egli voleva dire che la sua maniera di vivere, il suo stesso santo corpo, erano il faro e se Dio si fosse compiaciuto avrebbe inviato la Sua luce ed essa sarebbe rifulsa in tutto il mondo. E queste parole si sono oggi adempiute.

Gli ultimi giorni

Il 20 settembre 1920, una monaca di nome Eufemia portò un uomo anziano, che aveva sul capo una piccola rassa (copricapo monastico) e che era in preda a fortissimi dolori, all’ospedale Aretaieion di Atene, un ospedale pubblico per i poveri. L’infermiere chiese alcune informazioni per registrarlo: «È un monaco?» «No, un vescovo», rispose la monaca. L’infermiere rise sarcastico: «Lasciamo da parte gli scherzi, madre. Mi dica il suo nome, perché io possa registrarlo». «È veramente un vescovo, figliolo. Egli è il reverendissimo Metropolita di Pentapoli». L’infermiere farfugliò fra sé: «È la prima volta che vedo un vescovo senza Panagia (l’immagine della Madre di Dio che si porta al collo), senza croce dorata e soprattutto senza soldi!». La monaca disse nuovamente: «Davvero è un vescovo. Il Metropolita di Pentapoli. La Metropoli dipende dal Patriarcato di Alessandria. Egli è il reverendissimo Nettario Kephalas. Tempo fa egli lasciò l’Egitto e venne da voi a dirigere la scuola Rizarios; è cosa nota. Da alcuni anni e fino ad oggi, tuttavia, egli ha vissuto come un monaco nel convento della Santa Trinità ad Egina. Lì si ammalò gravemente e, nonostante le sue proteste, lo abbiamo portato qui». A questo punto mostrò all’infermiere i documenti del santo, per provare chi fosse.

L’infermiere, stupito da ciò che aveva visto e sentito, alzò le spalle e disse alla monaca di mettere il santo in una stanza di terza classe, dove si trovavano letti per gli indigenti. I medici gli diagnosticarono una grave cistite, una malattia della vescica. Per due mesi il gerarca Nettario visse con costanti, terribili dolori e alle 22.30 della sera dell’8 novembre 1920, in pace e in preghiera, rese lo spirito a Dio, all’età di 74 anni.

Nei giorni finali della sua vita, il santo era nella corsia degli incurabili, in mezzo a molte persone povere e malate, che venivano portate lì a morire. Nel letto vicino al suo c’era un uomo, paralizzato da molti anni. Appena il santo ebbe reso lo spirito, un’infermiera e la monaca che lo aveva accompagnato preparono il suo sacro tabernacolo per il trasferimento ad Egina per la sepoltura. Per questo vestirono il santo con abiti puliti e, nel farlo, posarono il maglione del santo sul letto del paralitico, per non averlo di mezzo. Immediatamente il paralitico acquisì forza e si alzò dal letto guarito e glorificando Dio.

Il giorno del suo trapasso, l’intero ospedale si riempì di un forte profumo, al punto che tutti i pazienti, le infermiere e i dottori uscirono nei corridoi domandandosi da dove provenisse. Per alcuni giorni non furono in grado di usare la stanza dove avevano messo le reliquie, a causa del forte profumo, nonostante avessero tenuto per tutto il giorno le finestre aperte. Questa stanza adesso è una cappella dedicata al santo.

Portarono le sue reliquie presso la chiesa della Santa Trinità al Pireo, nel mentre che veniva approntata una piccola bara di legno per la sepoltura. Poi lo trasportarono ad Egina, dove gli diedero una semplice sepoltura nel convento della Santa Trinità.

Le sante reliquie

Alcuni anni dopo, secondo la consuetudine greca, la tomba venne aperta per trarne le reliquie e, con grande stupore, tutti videro il santo intatto e profumato. Nemmeno i suoi vestiti erano in alcun modo mutati. Era come se fosse appena morto e fosse stato sepolto il giorno stesso. Non avevano detto al popolo di Egina dell’apertura della tomba, perché aveva già operato molti miracoli, era molto amato e si sarebbe radunata una folla immensa anche da Atene e da altri luoghi in cui era conosciuto. Così andarono ad aprire la tomba la mattina presto, appena terminata la divina liturgia, mentre albeggiava.

Nell’istante in cui l’aprivano, un taxi transitava sulla strada sotto il convento, trasportando una donna di pessima reputazione e molto peccatrice, sulla via del ritorno. Mentre si avvicinavano al convento della Santa Trinità, il profumo era così intenso che ella disse all’autista: «Fermati. Che cos’è questo profumo?». Quello fermò il taxi e rispose: «Oh, qui c’è il convento di San Nettario. Che altro può essere il profumo se non che oggi stanno aprendo la sua tomba? Deve venire da lì. Perché molte volte, prima che lo seppellissero, il suo corpo aveva emanato profumo e certe volte viene pure dalla tomba». Ella uscì dal taxi e corse a vedere. Arrivò al convento proprio mentre aprivano la bara e vide le reliquie intatte. Era così commossa da questo e specialmente dal profumo, che cominciò a piangere e confessò pubblicamente i suoi peccati. In questo modo venne corretta e divenne una donna prudente e cristiana.

In quei giorni telegrafarono anche all’arcivescovo Crisostomo Papadopoulos ad Atene ed egli giunse sull’isola per vedere di persona le reliquie. Dopo averle esaminate, consigliò irriverentemente alle monache di lasciarle al sole e all’aria per due o tre giorni e poi di riseppellirle, in modo che si dissolvessero. Così avviene con quelli che pretendono di essere pii, ma nei loro cuori non hanno che l’odore della corruzione, il puzzo della morte; essi non possono comprendere le cose di Dio, ma bestemmiano contro il Santissimo Spirito con parole e azioni. Le monache, temendo la censura dell’arcivescovo e anche perché erano di animo semplice, fecero come era stato detto loro. Dopo averlo lasciato al sole per due giorni lo riseppellirono, ma dopo un mese o due riaprirono la tomba e ne trassero le reliquie, che erano ancora intatte, ponendole in un sarcofago di marmo.

Nel 1934, quattordici anni dalla morte del Santo, un dottore tornava da un villaggio a cavallo e venne colto da un forte temporale nell’area del convento. Trovò riparo sotto un albero, ma pioveva così forte che gli venne da pensare che non avrebbe smesso tanto presto. Così l’unico riparo che poté individuare era il convento e decise di recarvisi. Aveva conosciuto il Santo Padre Nettario quand’era ancora in vita, ma essendo ateo, non gli portava grande riverenza. Andò a bussare alla porta e le monache lo fecero entrare per la notte, ma poiché era sera ed era proibito dai sacri canoni ospitare uomini nel convento, lo portarono in un luogo esterno, pensato per gli ospiti. Non essendo ancora state chiuse le porte, egli volle investigare su quanto aveva udito in merito a miracoli e reliquie incorrotte. Così andò dov’era il sarcofago e cominciò a spingere il pesante coperchio di marmo fino alla vita del Santo. In quel momento giunse una monaca e urlò: «Che cosa state facendo qui? Cosa volete fare, aprendo la tomba del nostro Anziano?». Ed egli rispose: «Voglio solo dare un’occhiata» «Ma voi non avete il permesso» ella insisteva e cominciò a creare scompiglio. Nel frattempo egli riuscì comunque ad esaminare le reliquie. Più tardi riportò: «Fui molto stupito di vedere che era il padre Nettario che tutti avevamo conosciuto, nel viso e nell’espressione. Anche la barba era intatta. Gliela tirai un po’, ma non si staccò. Toccai le sue mani e vidi che c’era pelle. Era rimasta ben aderente alle ossa (non c’era molta carne) e non era avvizzita. Poteva essere riconosciuto da chiunque l’avesse visto quand’era vivo». Poi chiusero il sarcofago di marmo.

Ma forse per i nostri peccati o per qualche altra ragione, alcuni anni più tardi le reliquie del Santo si dissolsero e ciò che abbiamo ora sono le sue sante ossa. Il suo santo cranio venne incastonato in una mitra vescovile con la parte alta aperta, in modo che chiunque potesse baciarlo. Il resto delle reliquie, che emanava molto profumo, venne posto in un reliquiario d’argento.
Un pezzo delle reliquie sono state regalate alla delegazione della Metropolia di Aquileia nel giorno di 24 aprile 2018 e si trovano nel Monastero Ortodosso feminile di San Nicola a Milano in via San Gregorio 5.

Traduzione della vita dal sito http://www.saint-nectarios-of-aegina.org/Biography_of_Saint_Nectarios.html

Il nostro padre tra i Santi Nettario è celebrato il 9 novembre (22 novembre secondo il calendario civile).

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